La piuma del Simorgh

La luce non si attenua mai, si spegne.
Come l’uccello che conosciamo, per rinascere.
È un inganno credere che qualcosa passi dal tempo
in cui fu pieno, a una senescenza.
Non c’è intervallo nel fuoco, c’è spegnimento
perché le braci si riaccendano, tu ti riaccendi.
Non era quello che avevo appreso un tempo,
l’attenuazione della fiamma, il crepuscolo.
Non esiste un tempo intermedio,
tu passi e affoghi per rinascere,
questo è già scritto, nel fondo del mare,
impresso nelle cifre del corallo.
La vita che ti fece fu ambigua, e generosa,
tu le appartieni, sei tu che la fai vivere.
Ora che sta piovendo i passi si allontanano,
i tram sferragliano e sembra pioverà sempre,
ma c’è una porta, mai vista o spalancata di colpo.
Tu credi che il buio si avvicini, ma già incombe
la notte e il sogno che ti prende e abbraccia.
Ognuno si culla in un sogno spesso debole e incerto
per la paura del mattino, del canto del gallo
quando le ombre cadono e tu viva
stai conducendo il globo al suo risveglio.
Non era quello che avevo appreso un tempo,
il lento divenire e la trasformazione del giorno
in una quiete muta, priva di stelle.
C’è solo, tu l’hai svelato, un incessante fuoco che rigenera.

Mussapi Roberto (Cuneo, 1952), da La piuma del Simorgh (Mondadori, 2016)


Io li conosco tutti i degenti

Io li conosco tutti i degenti
di tutti i bar – c’è chi si abbandona
a larghe risate chi
costruisce filosofie complesse
c’è chi piange su un amore finito
c’è chi piange su un amore finito
chi improvvisa buffi pezzi di teatro.
Io tra loro sono la più sfrenata
anch’io con il mio camice di ordinanza
anch’io uguale agli altri
e la follia arriva a tali livelli che vorrei
infermieri a tenermi braccia a gambe
un morso in bocca una benda
– meno male che i farmaci qui
sono legali ed economici e in sere fortunate
trovo qualcuno che mi offre tutto.
Ah bizzarra confusione delle sere
in cui si è tutti insieme col bicchiere
pieno – ultimi a lasciar  la festa.
Amici vedete io ho un male
che mi ostino a curare da me
– al bar la notte
si perde dentro il mio bicchiere
che è fondo, non vedo mai la fine.
Non dite che fa male
al fegato ai reni, non capite, qualcosa
si dovrà pur sacrificare.
Mi ricovero ogni sera in qualche bar
mi dimentico mi perdo via: questa
la mia cura e la mia malattia.

Rusconi Giulia (Venezia, 1984), da Suite per una notte (LietoColle-Pordenonelegge, 2014)