Settima scena
Pubblicato: 5 novembre 2019 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Maria Borio Lascia un commentoStendevamo le mani contando
i bordi di pelle incrinati.
Questa è una scena visibile
dietro una parte di me che indietreggia,
si sorregge la luce insieme
la carta e il digitale, ti sorreggi
consegnato alla portafinestra
e mi apri uscendo sopra il gelo.
Questa è una seconda scena
che mi lascia creatura tra gli uomini,
tu uomo tra le creature che degradano –
il balcone, la condotta di rame, i grovigli delle nuvole,
una sagoma parlante.
Nella terza scena parliamo immobili
attraverso uno schermo nell’etere
particelle o nella sottospecie di materia,
gli atti che chiamano linguaggio
o il linguaggio vero, sinuoso, incosciente.
Posso dirti
il tempo reale, nel tempo reale puoi
dirmi, accecati dalla luce digitale,
la fortuna di saper aprire
una quarta scena
dove entrano i frammenti degli altri
e noi ricomponiamo barricandoci
a un orario e a una parola –
le notizie rosse e irreali
sono scese dietro l’orizzonte,
un attimo al mondo per diventare –
quando nella quinta, sesta, settima scena sarannoi
l postino o l’uomo del pub
o tuo padre persino e mia madre
sempre più in sé sprofondati.
Così alla quinta scena ero tornata nel segreto
e l’avevi cancellato per un mondo
che entrava nella stanza allontanandosi.
Poi alla sesta scena eravamo in una semplice fila
alla stazione, con gli occhi e una banconota
piegati tra la mano e il tavolo –
un affidarsi, un rispettare.
Alla settima scena torno e respiro
nell’irrealtà prodotta dello schermo dei colori
del viso e della voce,
lontani e accesi, collisioni, temperature, frenetici
mentre il puro pensiero di me
non è più me
ma lo conservi, e i famelici ostacoli
di una lotta per il nostro posto
sono accidenti,
tempeste.
Un suono di gola, primitivo:
la trasmissione del niente è all’altrui niente –
la settima scena di noi è il settimo giorno,
la vita che vogliono rubare
bianca è nuda.
Maria Borio (Perugia, 1985), da L’altro limite (Lietocolle-Pordenonelegge, 2017)
Isola
Pubblicato: 13 Maggio 2019 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Maria Borio Lascia un commentoNella notte il vetro dei grattacieli di Isola
sembra una faglia sull’orizzonte,
il semicerchio della struttura che dice
il potere di rendere solida l’acqua
e liquefarsi al momento
che hai finito di circoscrivere.
Qui le ore per buio distinguono
il silenzio netto, il rullio dei treni,
le gocce nell’aria, le fibre –
ma l’alba ci ha fermato in un suono contorto:
le curve del tempo vuoto
la fuga nel sottopassaggio
l’elettricità aperta tra gli ascensori e il cibo decongelato
gli artefici di questa pulizia di vetro
o una prova molto umana per fermare un azzurro
fragilissimo.
Seduti al limite della fontana
ecco il sorpasso: il freddo
incorruttibile del buio
si restringe e una folla normale
scala i tratti del volto. Al bar mi dici
che è metafora del mondo
oggi trattenendo il cibo nella bocca
il grande vetro di questi edifici
e il cibo profondo negli organi:
meccanica e carne invisibili
e la loro imperfezione avvolge al puro e all’impuro
entrando uscendo dal grande vetro
come l’arte afona e oscura di Duchamp
taglia a sezioni.
Nel caso premi la mano, può frangersi
o resistere come l’etere resiste,
e lì coscienti o da noi separati
puro e impuro,
il grande schermo di Isola
o un continente.
Maria Borio (Perugia, 1985), da Trasparenze (Interlinea, 2019)
-consigliato da Francesco Terzago