La lingua del destino

Queste sono solo le mie strade, alla fine. Un mondo
che possiamo meditare e proteggere
mentre si addensa, onda o punto o nulla.
Questo: le origini, i flussi del cosmo sulle erbe
di ogni notte, il bosco e la corrente
che mi porti vicino, una domenica sul tardi.
Mi sento pensato in un linguaggio.
Ci sono le stelle, dici. Tante sul terrazzo.
Per questo dico: ho visto quell’uomo camminare
– e lo dico solo a te – nel buio, ho pensato
fosse venuto per te,
ho pensato a difenderti.
Ogni formula adesso è attraversata
da quel vento che ruota fra queste montagne
e colpisce la nostra casa più di altre. Fende
i numeri, le combinazioni astrali, quasi fosse
amore, questo vento, il viso che sorride
mentre giochi e sembriamo vicini alle vette.
Mi piace qui lo dico anch’io.
A volte per primo.
Sorridiamo ancora, compariamo le grandezze,
e ci dimentichiamo della casa.

Tutto questo, ora lo so, ha un valore collettivo.

Gabriel Del Sarto (Ronchi, 1972), da Il grande innocente (Aragno, 2017)

-consigliato da Gianluca D’Andrea


Invito

Dalla stanza dello sposo voce tenue, basse.
i fruscii, avvertibili, sul parquet del corridoio. È qualcosa
di fragile verde quello che accade.
A notte
dopo la musica elettronica, nei silenzi
della campagna, le elegie di giugno
fino nel cuore di un solstizio tedesco.
Penso che forse stiamo fuggendo da qualcosa.

Dentro la casa vecchia guardo
una strada sterrata che taglia il prato,
un’alba come un orizzonte vasto,
fino i colli lontani della Franconia.

Gabriel Del Sarto (Ronchi, 1972), da Sul vuoto (Transeuropa, 2011)