STRUMENTI

Impara a fare le poesie come si fa il pane.
Impara a fare il superfluo. La nostra specie
si è ingegnata nel costruire oggetti
funzionali all’impianto biologico
del quale è ditata − le mani (forchette, penne, sigarette)
− o le gambe (pedali, automobili). Molto
veniamo rimpiazzati dagli oggetti.
Lo scopo è essere sostituiti nelle cure primarie degli apparati. Lo scopo è
esseri liberi. Scorporare.

Oltre, stanno le rocce e gli alberi, quiete entità respiranti
che non appartengono a nessuno
e a niente di quanto si dissolve nell’atmosfera prima di toccare terra

Parola sostanziale regredita
dalla bocca alla mente
Verde, senza fiori, aromatica, verde di sangue raffermo, verde e petrosa, [instabile
nella gioia matematica dello spazio

dove il reale è il vuoto della fisica
fra i battitori del grano
sopra una terra diventata immobile per l’attrito rovente delle atmosfere
su corpi che la poesia non salva.

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964), da Giardino della gioia (Mondadori, 2019)


UN MISTERIOSO ALBERO-MOTORE

E poi un giorno c’investe
un ordigno
tralucente e radioso, che non abbiamo scelto
e chiamiamo vita.

L’impulso anima e flette
un suo morbido grommo di materia
viva, un insieme di organi legati − con tubicini,
cavi e percolature − a una bocca che evoca il mare.

Ma un impasto di conseguenze illogiche, di stranianti e disutili
connessioni, inverte la dialettica
di causa-effetto dell’inanimato,
se è vero che l’amore, entro i limiti dati
dalla sopravvivenza, influisce sul corpo più del pane. Intanto l’invisibile
fabbrica chimica
sèguita a distillare, disseziona e sgocciola in cavità
infinitesimali
il frutto dissolto.

Dunque un giorno veniamo in possesso
del sogno della materia
che misteriosamente, come vedi, si muove
e appartiene a sé stessa e si pensa
e lentamente impara a non ferirsi.

Alla fine, un’altezza con figure.

Roma, 2 marzo 2018

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964), da Giardino della gioia (Mondadori, 2019)