Uscire

Esce di casa per una ragione, la dimentica,
sale su un autobus, incontra le persone, le scherma col linguaggio,
dice “studente fuorisede”, “tatuata”, “filippino”
per non vedere il fuorisede, la donna tatuata, il filippino,
poi viene travolto dalle frasi assurde, le mani colorate
come animali onirici,
come uccelli tropicali, l’anarchia degli altri.

Da qualche anno le cose mi vengono addosso senza protezioni.
In sogno vedo denti rotti, punti di sutura,
topi tagliati in due, fra l’orecchio e la mascella, che discutono fra loro.
Spesso, quando parlate, io non vi ascolto,
mi interessano di più le pause tra le parole,
ci leggo un disagio che oltrepassa la psicologia, qualcosa di primario.
La tatuata scende prima di diventare umana, il vetro
moltiplica i dettagli, per un attimo
il filippino significa qualcosa,
poi prova le suonerie, il suo rumore
mi ottunde internamente, vorrei colpirlo.
Ero uscito per comprare una di quelle lampadine a led
di nuova generazione, di quelle che non si bruciano,
un paio di forbici, la frutta, un cocomero.
Ho scritto un testo che non tende a nulla. Vuole solo esserci, come tutti.
Ho scritto un testo che rimane in superficie.

Guido Mazzoni (Firenze, 1967), da La pura superficie (Donzelli, 2017)


Quattro superfici

Gli altri in quanto esseri esteriori,
superfici o corpi. Chi dice io invece non ha corpo,
vede soltanto le proprie mani, le guarda come pròtesi,
osserva gli altri mentre tengono la propria
vita interna dentro i volti,
scopre di avere un volto solo nelle foto.
È osceno essere esposto, essere una cosa – io, quest’auto,
la vetrina del barbiere, la busta
delle patatine sul marciapiede di via Gallia.
La seconda superficie è la percezione,
il modo in cui crea un piano di realtà semplificando.
A volte, in sogno, vedo le persone
senza la parete addominale, con gli organi aperti.
È un sogno, significa molto.
In questa poesia significa ciò che normalmente
resta impercepito, la meccanica del corpo, il tubo
di feci che portate dentro per esempio, la sorpresa
di quando la merda si mostra all’esterno come una sostanza aliena.
La terza superficie è il linguaggio,
le sue astrazioni, l’idea che possa esistere qualcosa
come ciò che i segni possaesistere e qualcosa
cercano in questa frase di esprimere.
La quarta è l’immagine interna degli altri,
il loro peso immenso, il loro campo.
Agisco per voi, scrivo questa poesia per essere accolto,
divento libero solo quando morite internamente.
Il rimorchio sbanda contro la nostra auto fra Chiusi e Roma,
io lo osservo senza angoscia, è una specie
di sguardo puro, di cinematografia della mia morte. Ma Daniele
Balicco resta calmo, l’automobile passa, per qualche minuto
non parliamo, poi tornano gli aneddoti,
le biografie, quattro persone.
L’inglese ha un’espressione che mi piace molto,
small talk. Sono i discorsi di superficie,
le parole di contatto, ciò che Heidegger,
in Essere e tempo, chiama la chiacchiera, das Gerede. In italiano,
nella nostra lingua interna, la parola che usiamo più spesso
per indicare tutto questo è ‘cazzate’.
Le opinioni su ciò che ignoriamo, i discorsi
che escono dai cellulari e entrano nei vagoni
in mezzo a tutti: i figli, un’infezione all’unghia, la Juventus,
i nemici privati che non conosciamo – gli altri
parlano di cazzate. Chi dice io fa eccezione, è l’unico
che esista veramente, è il soggetto.
Quando Daniele Balicco riprende il controllo siamo vivi,
parliamo di cazzate. Non aderisco a nulla, mi sembra
che non aderiate a nulla, siete la parte che manca
nel vostro mondo, siete un luogo inabitato.

Guido Mazzoni (Firenze, 1967) da La pura superficie (Donzelli, 2017)