Domenico Ingenito consiglia “Nel sorriso folle delle madri” di Herberto Helder
Pubblicato: 22 marzo 2013 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Herberto Helder 3 commentiNo sorriso louco das mães batem as leves
gotas de chuva. Nas amadas
caras loucas batem e batem
os dedos amarelos das candeias.
Que balouçam. Que são puras.
Gotas e candeias puras. E as mães
aproximam-se soprando os dedos frios.
Seu corpo move-se
pelo meio dos ossos filiais, pelos tendões
e órgãos mergulhados,
e as calmas mães intrínsecas sentam-se
nas cabeças filiais.
Sentam-se, e estão ali num silêncio demorado e apressado
vendo tudo,
e queimando as imagens, alimentando as imagens
enquanto o amor é cada vez mais forte.
E bate-lhes nas caras, o amor leve.
O amor feroz.
E as mães são cada vez mais belas.
Pensam os filhos que elas levitam.
Flores violentas batem nas suas pálpebras.
Elas respiram ao alto e em baixo. São
silenciosas.
E a sua cara está no meio das gotas particulares
da chuva,
em volta das candeias. No contínuo
escorrer dos filhos.
As mães são as mais altas coisas
que os filhos criam, porque se colocam
na combustão dos filhos, porque
os filhos estão como invasores dentes-de-leão
no terreno das mães.
E as mães são poços de petróleo nas palavras dos filhos,
e atiram-se, através deles, como jactos
para fora da terra.
E os filhos mergulham em escafandros no interior
de muitas águas,
e trazem as mães como polvos embrulhados nas mãos
e na agudeza de toda a sua vida.
E o filho senta-se com a sua mãe à cabeceira da mesa,
e através dele a mãe mexe aqui e ali,
nas chávenas e nos garfos.
E através da mãe o filho pensa
que nenhuma morte é possível e as águas
estão ligadas entre si
por meio da mão dele que toca a cara louca
da mãe que toca a mão pressentida do filho.
E por dentro do amor, até somente ser possível
amar tudo,
e ser possível tudo ser reencontrado por dentro do amor.
Declamazione dell’autore (in portoghese): https://www.youtube.com/watch?v=Fr2xFBlQ6eg
Herberto Helder (Funchal, 1930), excerto do poema «Fonte», publicado em A Colher na Boca, 1961
Nel sorriso folle delle madri sbattono lievi
le gocce della pioggia. Nelle amate facce
pazze battono e sbattono
le gialle dita delle lampade.
E dondolano, che dondolano. E son pure, che pure.
Gocce e lampade pure. E le madri
si avvicinano soffiando sulle dita fredde.
I loro corpi si muovono per le ossa dei figli,
tra tendini e organi sommersi,
e le calme madri, intrinseche, si siedono
sulle teste dei figli.
Si siedono, e restano lì in un silenzio che perdura
frenetico,
vedendo tutto,
e bruciando le immagini, alimentando le immagini,
perché l’amore è sempre più forte.
E sbatte sui loro volti l’amore lieve
l’amore feroce.
– E le madri sono sempre più belle –
pensano i figli che su di loro aleggiano.
Fiori violenti sbattuti sulle palpebre
respirano loro da cima a fondo. E sono
silenziose.
E il loro viso nel mezzo di ogni goccia
di pioggia,
intorno alle lampade. Nel continuo
scorrere dei figli.
Le madri sono le più alte cose
che i figli crescendo crearono, perché permangono
nella combustione dei figli, perché
i figli sono come invasori denti di leone
nel terreno delle madri.
E le madri sono pozzi di petrolio nelle parole dei figli,
e si lanciano con loro come schizzi
che zampillano fuori dalla terra.
E i figli s’immergono con scafandri
all’interno di molte acque,
e portano via le madri come polpi
avvolti alle mani
e nell’acume di tutta la loro vita.
E il figlio siede con la madre a capotavola,
e con lui la madre sposta da parte a parte
le tazze e le forchette.
E grazie alla madre il figlio pensa
che nessuna morte è possibile e che le acque
si intrecciano per mezzo della sua mano che tocca la
faccia folle
della madre che tocca la mano diffidente
del figlio.
E dentro l’amore, è solo possibile arrivare
ad amare tutto,
e nella possibilità che tutto possa ritrovarsi
dentro l’amore.
Ho scelto questa poesia perché credo offra la verità profonda e conturbante sul rapporto tra chi genera e chi è generato. Penso sia il primo testo che ho tradotto dal portoghese, a vent’anni, quando ascoltavo più e più volte la declamazione del poema ad opera del suo stesso autore. Herberto Helder, tradotto poco e male in Italia, è a mio parere il migliore poeta vivente. E questa poesia si nutre di spasmi elettrici capaci di catarsi iridescenti, lungo le scosse di questa sua sintassi lineare ma intrecciata al ritmo come i nervi si serrano intorno agli arti. Tradurla ripetutamente negli anni ha significato per me ripercorrere la possibilità di una compensazione costante, sciogliendo durezze e riannodando ambiguità laddove l’italiano e il portoghese hanno quasi la stessa origine. E in quanto a origine, questo sulle madri è un testo abissale, che vive di fluorescenza propria nelle regioni più sommerse del subconscio. Aspira a dire la totalità dell’amore – quella possibilità “che tutto possa ritrovarsi / dentro l’amore” – come follia materna e disperata commozione di questa immagine potente: “le madri sono le più alte cose / che i figli crescendo crearono”. Le madri come regine della nostra presenza organica, ma al contempo zampillare petrolifero dalla costola di chi loro stesse portarono al mondo.
E se questo è il seme primo d’amore, esso è anche la genesi arcaica di ogni violenza, ogni possesso. Ogni riscatto.
Domenico Ingenito
Cos’è che sta cercando, signora?
Pubblicato: 18 settembre 2012 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Herberto Helder Lascia un commento– Cos’è che sta cercando, signora? – chiese il giovane alla donna indaffarata sulla veranda. – Sto cercando un ago che mi è caduto in cucina. – E perché allora lo sta cercando in veranda – Perché la cucina è molto buia – rispose la donna.
Herberto Helder (Funchal, 1930), da Photomaton & Vox (Assírio & Alvim, 1979)
– De que anda a senhora à procura? – perguntou o jovem à mulher que investigava na varanda. – Procuro uma agulha que me caiu na cozinha. – Porque a procura então na varanda? – Porque na cozinha está muito escuro – respondeu a mulher.
(Traduzione di Giacomo Sandron)