Un antenato

Adesso accendo la luce e faccio la doccia.
Fintanto che c’è. Mi accendo persino la stufetta.
Poi scendo dal cinese a lasciargli i maglioni,
sarà un mattino terso.
Andrò a vedere al cantiere se hanno bisogno,
mi hanno detto che cercavano.
Sembro più vecchio di quello che sono, forse.
Questo è certo, l’attesa segna.
La colazione: al bar.
Il cameriere con il ghigno correrà tra i tavoli,
io farò sempre attenzione alle solite pagine degli annunci,
poi la spesa. Se è bello vado al parco
a vedere i cigni. Magari mi fumo un sigaro.
lo dico che prima o poi arriverà una lettera.
Credere al destino non logora mai.
Il destino di questa casa, mi copre,
ma non sa quanto mi costa.
Questo soffitto bianco è la pace raggiunta,
le formiche irretite nel loro tran tran…
le spugne erano animali che respiravano?
La luce l’ho accesa, ora alzarsi, fare la doccia.
Tutto intorno gli amici sottratti alle cure terrene:
la bici sul balcone, le maniglie consunte, la stessa
pattumiera, gli interruttori
nella loro mandorla di nume domestico.
Solo che non hanno una figlia loro.
Smetterla di cercare lavoro
spegnere la luce.

Jacopo Galimberti (Pavia, 1981) da Senso comune 2004 – 2009 (Le Voci della Luna, 2011)