Ohio Blues / antologia, Luciano Cecchinel

Ohio State
Ohio State
dusty clouds of the fate
sparklin’ clouds of the fate
oh Lawd, do I come too late
all’s gone, all’s gone
all’s gone, all’s gone
and I’m here to weep and moan
and I’m there to weep and moan
about my old folks gone…
and death is death
and death is death
no sad song can bring them back
no glad song can bring them back
along this long lost track…
Columbus day
Columbus day
I’m goin’ down my old sparklin’ way
I’m goin’ down my new dusty way
and I ain’t gonna feel this way…

 

Luciano Cecchinel (Lago, 1947), da Lungo la traccia (Einaudi, 2005)

 

Blues dell’Ohio Stato dell’Ohio / Stato dell’Ohio / nuvole polverose del fato / nuvole scintillanti del fato / oh, Signore, arrivo troppo tardi… / è passato, è passato / è passato, è passato / e sono qui a piangere e a lamentarmi / e sono là a piangere e a lamentarmi / per la mia vecchia gente andata… / e morte è morte / e morte è morte / non c’è canzone triste cha possa riportarli indietro / non c’è canzone lieta cha possa riportarli indietro / lungo questa lunga traccia perduta… / Columbus day / Columbus day / percorrerò la mia vecchia strada scintillante / percorrerò la mia nuova strada polverosa / e non mi sentirò più in questo modo…

 

Nel recensire Lungo la traccia, Maurizio Cucchi ne ha parlato come di «un romanzo in versi», da ordinarsi lungo un tracciato che riporta il poeta negli Stati Uniti, dove agli inizi del Novecento emigrarono i suoi avi.
Cecchinel vi narra di un discessus ad inferos in terra d’America, verso la deriva di «gnesuloc» (‘nessun luogo’).
Il fine è quello di ricomporre i fili spezzati tra le due coste dell’Atlantico, ma la scelta di allontanarsi dai vivi per schierarsi con i morti non libera il poeta dall’angoscia di sentirsi manchevole. Troppo tardi è giunto infatti nella valle dell’Ohio River.
Non resta che intonare il mea culpa di un blues ipnoticamente cadenzato in nenia, disposto ancora una volta a un penoso recupero memoriale.

(Giovanni Turra)

 


par na ultima òlta / antologia, Luciano Cecchinel

trar tel fogo arte vèci
par no èser rivadi
a ciaparghe la òlta al tènp
l’è cofà scanzelar par rabia
e po’ ciamarse grami
par oler ben
i screcoléa, i scròca
ma no rivarà, nò, forèsti:
l’é fursi àneme che lontan le ciama
o che in tra de lore le se ciama
par na ultima òlta
fa par colpi de tos
cusì l’è n’antra mòrt
che se dà col gòs sgonfi
de ’n oler ben perdest
e s-céṡene del cor i crèpa i lenċ
par senċ de fun che i se pèrz, i se scònz
in tra stele forèste

 

Luciano Cecchinel (Lago, 1947), da Sanjut de stran, (‘Singhiozzo di strame’, Marsilio, 2012)

 

per un’ultima volta buttare nel fuoco utensìli vecchi / per non essere riusciti / ad aggirare il tempo / è come cancellare per rabbia / e poi chiamarsi grami / per amore //  crepitano, crocchiano / ma non arriveranno, no, forastici: / sono forse anime che da lontano ci chiamano / o che tra loro si chiamano / per un’ultima volta / come per colpi di tosse // così è un’altra morte / che si dà con il gozzo gonfio / di un amore perduto / e schegge del cuore si crepano i legni / per segni di fumo che si perdono, si nascondono, / tra stelle estranee

 

Luciano Cecchinel è poeta plurilingue: scrive nella parlata di Revine-Lago (alto trevigiano, al confine con il bellunese), in italiano (i testi in lingua di Perché ancora [Vittorio Veneto, ISREV 2005] e tutt’intero Le voci di Bardiaga [Rovigo, Il Ponte Del Sale 2008]) e in inglese (i numerosi passaggi di Lungo la traccia [Torino, Einaudi 2005] e, nella medesima raccolta, il componimento Ohio Blues).
L’esordio è però in vernacolo, come pure l’ultimo tempo del suo opus; a cominciare dai titoli: Al tràgol jért (‘L’erta strada da strascino’) (Pederobba, I.S.Co 1988; Milano, Scheiwiller 1999, edizione riveduta e ampliata) e Sanjut de stran (‘Singhiozzo di strame’) (Venezia, Marsilio 2012).
Da grande lirico qual è, Cecchinel sospinge il dato autobiografico fin sulla soglia dell’emblematicità, avvertendo il proprio ambiente con forza appassionata.
Sull’io poetante incombe la medesima condanna alla rovina che incalza il suo mondo, e il dialetto consente di recuperare al meglio la rappresentazione più fedelmente dolorosa della sua vicenda personale e di quella della sua gente.
Va da sé che l’adesione solidaristica di Cecchinel alla sua heimat s’impone quale ineludibile memento.
Il ricordo dei morti è perciò un dovere continuo; i trapassati sono evocati bruciando gli utensìli che possedevano in vita.
L’efficacia di questa negromanzia (la campata del libro da cui è tratta la poesia s’intitola per l’appunto rituài de larin, ‘rituali di focolare’) fonda sul concetto di contiguità, sebbene si tratti di una contiguità immaginata o anche solo del ricordo di essa.

(Giovanni Turra)