C’è che quel che c’è

C’è che quel che c’è
sotto è nascosto,
il mondo è istante o atomo
di tempo. Non si può essere mai
mare, non si può vedere la luna
ma sulla soglia strofinerò
le polveri delle conchiglie che furono
molti volti. C’è quel che c’è
e è acqua che è fluita
nei tombini all’ombra del ramo,
ha distrutto un’orma sulla pioggia
lasciandoci pesci e insetti.
Falsi indizi dava quel che cade.
Una freccia una treccia sciolta a lato
la feccia di vino che non si lava via.
Sento raccontare ancora che miri
ai piedi, in testa. Non farlo.
Vieni. Non farlo.
Diventa dente, resta come la spina
al sicuro nel cuore del lupo
e annienta il nodo. Senza me non andare
nel viaggio fuori ai fiori
a acqua e fango.
Alberto Cellotto (Treviso, 1978), inedito.


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