Le silenziose

in camice giallo presto
al mattino adempiono alle pulizie
ordinarie: pulire dai residui
di escrementi i cessi, sostituire
la carta igienica dove manca,
aggiungere il sapone liquido
per le mani, lavare a dovere
i pavimenti. Lasciano andandosene l’odore
delle pulizie comandate, guasti
o intermittenti alcuni dei faretti, strisce
di sporco agli specchi, grumi sparsi
di unto di anni alle piastrelle, velate
di calcare le fontane. Sono donne minute
o corpulente, e le immagini poco
istruite ma piene di forza, puledre
resistenti alle fatiche, indurite
madonne. I forti guasti del vivere
tracciati su visi ormai corazzati,
sembrano
aver fatto di se stesse una collezione
a imbuto di sbagli: da ragazze, giovanotti
e buona sorte si alternarono in ginocchio,
i gradini delle scuole sembrando
un trampolino di tre metri da cui
staccarsi fiduciose per il tuffo; e poi,
come fu che poi l’aria a tradimento
si assottigliò, come fu che al salto
mancò velocità e rotazione, che l’atteso
ingresso in acqua avvenne di pancia,
con incresciosi schizzi dappertutto.
Antonio Lanza, (Paternò, 1981), da Suite Etnapolis (Interlinea, 2019)

– consigliato da Jacopo Ramonda 



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