Tre apparizioni a Wassen

Ciascuna par dolente e sbigottita
(Dante)

1

Un’ombra di ragazza
sul mesto umidore del vetro
è una scarpata madida che aggetta sul vuoto
e sotto c’è un paese minuscolo
una chiesa arroccata un cimitero secolare
conca tra muri di pietra acque scroscianti
brividi di valanghe sedimenti franosi
una valle di vento che fugge
senza prospettive
un destino di fatica

oggi vorrei non parlare
non posso parlare
per favore non fatemi domande
sono solo un’inutile cosa;
se ogni mattina è soltanto tristezza
grande tristezza
che a volte mi schiaccia nel letto
come montagna nera
sopra succisa rosa
ma oggi sono qui e altrove
sono qui e non so dove
quasi in piedi senza parola
per favore lasciatemi in silenzio
non interrogatemi

2

Seconda apparizione: lontanissimo
nastro grigio che fugge
verso un vago lucore di rame
un improbabile pertugio nelle strettoie
automobili in corsa irraggiungibili
di là non potremo passare
non noi forse altri
non noi massi inerti millenni
nell’angusto rovescio dei prati

ho amici distanti mai visti
amici che non conosco nicknames
con loro sto bene con loro posso
isolarmi, è un’amicizia profonda che non
scuote, non esco molto è vero,
quasi mai, e quando esco scivolo
tra le persone i corpi
non guardo non guardatemi
sono il colore di una galleria
lo spazio vuoto circolare
nelle viscere di qualcosa
certe volte sorrido

3

Più in basso la terza: fanghiglia, pietrame.
Le case ci sovrastano, e sopra le case i costoni
in picchiata sospesi alle nubi,
ostili strapiombano e un’acqua
violenta, verdognola ruggisce sul fianco
erode distrugge le cose abbarbicate
corpi radici argini
la chiesa sembra salire fremendo
il cielo non è più visibile la corsa
del treno svanisce in un buio
tutto si smangia

no, mai. Mai stata
ricoverata, sto attenta non mi lascio
distrarre. Sto vigile, presente,
a un chilo dal ricovero. Intelligente,
lo so; e severa con me stessa.
Ma forse ho imparato a non pretendere
la perfezione assoluta: in questo va meglio.
La pressione degli altri si è allentata
i lupi non bussano alla porta quasi più
benché li senta respirare là fuori
bianche penne neri veltri maschere.

Ma sto meglio
nel segreto di me, un po’ meglio, forse.

 Fabio Pusterla (Mendrisio, 1957), da Cenere, o terra (Marcos y Marcos, 2018)


Qui piove per giorni interi, talvolta per mesi

Qui piove per giorni interi, talvolta per mesi.
I sassi sono neri d’acquate,
I sentieri pesanti.

Sul bordo delle rogge:
girini, latte scure. Una valigia
incatramata.

Un filo d’olio cola
sulla ghiaia. Sopra, cemento.
Se gratti la terra: detriti,
mattoni scagliati, denti di coniglio.

Si possono pensare rumori umani,
passi, palle da tennis. Voci eventuali.
Ogni frantume è ammesso purché inutile.

Siccome questo è il vuoto c’è posto per tutto,
E quel poco che c’è, è come se non ci fosse.
Anche i binari sono perfettamente inerti,
le lucertole immobili, i vagoni
dimenticati.

E poi il pollaio. Le cose senza storia.
O fuori. Una carriola
che non ha ruote. Un pozzo. Un secchio marcio
privo di fondo. Il nome di uno scemo:
Luigino. Piume dentro la rete, di gallina.
Buchi dentro la rete. Trame rotte.
Quello che non chiamate crudeltà.

Io sono questo: niente.
Voglio quello che sono, fortemente.
E le parole: nessuno adesso me le ruberà.

Fabio Pusterla (Mendrisio, 1957), da Le cose senza storia (Marcos y Marcos, 1994)