Luigi Socci consiglia Hans Magnus Enzensberger
Pubblicato: 20 marzo 2014 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Hans Magnus Enzensberger, Luigi Socci 1 CommentoCanto secondo
L’urto fu lievissimo. Il primo radiogramma:
Ore 00.15. Mayday. A tutte le navi. Posizione 41°46’ Nord
50°14’ Ovest. Favoloso quel Marconi!
Un ticchettio nel cranio, nel padiglione auricolare, senza fili
e da lontano, da tanto lontano – più lontano di mezzo secolo!
Niente sirene, niente campanelli d’allarme, solo
un discreto battito alla porta della cabina,
un tossicchiare in salotto. Mentre sotto
l’acqua sale, lo steward aiuta
un anziano signore dolorante, settore macchine utensili
e metallurgia, ad allacciarsi le stringhe sul ponte D.
Coraggio! Bando alla fatica, signore mie,
al galop! grida il maestro di ginnastica, Mr. Mc Cawley,
impeccabile come sempre nel suo completo di flanella beige,
da un’estremità della palestra in boiserie. Silenziosi dondolano
i dromedari meccanici avanti e indietro.
Nessuno sospetta che l’indefesso ha mal di pancia,
che non ce la fa a nuotare, che è spaventato.
John Jacob Astor invece squarcia con la limetta
un salvagente e fa vedere alla moglie,
che nasce Connaught, quel che c’è dentro
(presumibilmente del sughero), mentre avanti
nella stiva sgorga un fiotto spesso come un braccio,
e glaciale gorgoglia sotto i pacchi postali e nelle cucine
s’infiltra. Wigl wagl wak, suona l’orchestra
in uniforme nivea, my monkey:
un potpourri da “The dollar princess”.
Via! Tutti al Metropol! Berlino, com’è viva e vegeta!
Solo in basso, là dove, come sempre, si capisce per primi,
bauli bebè e federe scarlatte si arraffano
in fretta e furia. La terza classe
non conosce l’inglese né il tedesco, una sola cosa
non gliela deve spiegare nessuno:
che tocca prima alla prima classe,
che non c’è mai abbastanza latte e mai abbastanza scarpe
e mai abbastanza spazio nei battelli per tutti.
(1978)
(Trad. di Vittoria Alliata)
Hans Magnus Enzensberger (Kaufbeuren, 1929), da La fine del Titanic (Einaudi, 1980)
Perché
Innanzitutto perché, a parere di chi scrive, l’ottantacinquenne poeta tedesco è semplicemente il migliore tra quelli ancora in circolazione. E poi perché, a fronte di un’ emorragia di lettori che affligge il genere poetico a livello ormai globale, Enzensberger sceglie la strada più impervia, rilanciando rischiosamente e, nell’alzare la posta, si gioca la carta più apparentemente desueta e impraticabile: quella dell’epica. E lo fa sulla scorta di Dante (l’opera consta di 33 poesie-canti e si fregia del sottotitolo di “commedia”) rileggendolo con sensibilità moderna e dunque, al fondo, ironica ma riuscendo ad attingerne la lezione plurilinguistica, le straordinarie capacità plastiche e descrittive, la mescolanza di alto e basso, di tragico e comico, della dimensione grottesca con quella sublime, di autobiografismo e riflessione politica fino al traguardo ambizioso dell’allegoria. In un’epoca di perdita di importanza, di incisività e di influenza della scrittura in versi, Enzensberger risponde con un’opera importante, incisiva e influente a tal punto da lasciare segni indelebili in arti ben più popolari come il cinema (il Titanic di James Cameron) o la musica pop (quello di Francesco De Gregori) senza pretese di superiorità né, tantomeno, complessi di inferiorità. E scusate se è poco. (Luigi Socci)
C’era qualcosa
Pubblicato: 13 settembre 2013 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Hans Magnus Enzensberger 1 CommentoC’era qualcosa di buono
prima,
altrove.
Peccato
che sia così difficile
ricordarsi
di qualcosa di buono.
Sapere
com’era davvero.
Come davvero era.
Era, credo,
qualcosa di affatto abituale,
di meraviglioso.
Io l’ho,
credo, visto
e odorato
o afferrato.
Ma se fosse grande
o piccolo
nuovo o vecchio,
chiaro o scuro,
non lo so più.
Soltanto che era meglio,
molto meglio
di ciò che c’è adesso,
questo lo so tuttora.
Hans Magnus Enzensberger (Kaufbeuren, 1929) da Chiosco (Einaudi, 2013)
Da war etwas Gutes
vorhin,
woanders.
Schade,
daß es so schwer ist,
sich an etwas Gutes
zu erinnern.
Zu wissen,
wie es wirklich es war.
Es war, glaube ich,
etwas ganz Gewöhnliches,
Wunderbares.
Ich habe es,
glaube ich, gesehen
oder gerochen
oder angefaßt.
Aber ob es groß
oder klein war,
neu oder alt,
hell oder dunkel,
das weiß ich nicht mehr.
Nur daß es besser war,
vier besser,
als das was da ist,
das weiß ich noch.