Dabar

Ogni parola è un passo.
Cambia nel dirsi e nell’ascolto
come una distanza
raggiunta con il corpo
e superata.
Fonda flessuosa luce le cresce dentro
se in alto
o nella misura dell’appoggio
più spazio riesce a separare
l’immagine dal nome.

E il nome pronunciato
è già percorso.
Non c’è certezza di un inizio
sul cammino.
L’origine ci sfugge
come l’istante
in cui tutta la lingua si dispiega
e il bambino
di colpo sa parlare.

Ogni parola è un balbettare
forte dell’inciampo
con cui il suono
l’invera mano a mano.

Nasce dal deserto e non lo lascia:
mentre lo attraversa
ne spinge il confine più lontano.
E nel silenzio si vede
riflessa, incinta di echi
come il profeta
che muore
carico di futuro
sulla soglia
della terra promessa.

Raffaela Fazio (Arezzo, 1971), da Midbar (Raffaelli, 2019)


muto questo mio periplo domestico

insonorizzato   
chilometri 
scrivania- balcone   balcone-scrivania
scavati 
sperando in un sisma una deflagrazione
muri 
per voce sola o 
murales alla luna
solo questi compagni ho nella città 
pure nel tratto 
dalla stanza inquieta del sonno     
alla porta del figlio do not disturb 

nel solco affondo   mi sorreggono 
il quaderno e i gerani 
insieme resistiamo ai miasmi 
nella stanchezza di fiorireoffrire 
segni   un brancolare di mani di rami 
mentre scolorano 
il mio inchiostrosangue   i petali  

Annamaria Ferramosca (Tricase, 1946), da Andare per salti (Arcipelago Itaca, 2017)