Ufficio

Nel profilo dietro la porta a vetri che scorre
non appena entri nel campo d’azione
della telecamera, nessuna sorpresa, solo
si apre pieno il silenzio prima
della domanda di cortesia, il vuoto
di una sala d’attesa
foderata, nella quale sfiorare lo schermo
del telefono cellulare è l’unica forma
di contatto con se stessi – una circolazione fluida
di plasma e sangue – mentre un filo
d’aria condizionata scende dall’alto
e la musica fredda scivola senza fine.
È normale. Siamo qui
complici di questo silenzio e le sorrido
mentre mi offre un caffè. Non so, forse dovrei
dirle di quel Mar Baltico dentro
la sua isola, di quel bianco che vedo.

Il suo corpo scompare veloce
oltre la soglia e lo schermo scuro che stringo
sembra retrocedere verso un’altra epoca,
in un tempo o solco tracciato da altri, non qui,
e per nessuno di noi, che non sappiamo perché
sostiamo in questa veglia, aspettando cosa.
Gabriel Del Sarto (Ronchi, 1972), inedito



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