Dialoghetto crudele

“Per la continuità con cui ami
(pietra su pietra, dietro e oltre cenere
ostinato e mutamente cieco:
un uomo tutto passi e alta pazienza)
forse mi sbaglio e sorseggio un discorso
che non potrei e non potrei ma mai
eppure la mia opinione ha pure un suo valore
e allora sull’argomento, dì pure
che sono sfrontata, io penso che
la tua stupidità ti sia servita,
e avendo la fortuna in certe cose
di non intendere, è stato più facile
per te resistere là, nel tuo amore.

Io ho molti più pensieri e più colori.
Io sogno. Ho dei bisogni. Mi rampogna
il ninnolo che sorveglia la mia
femminile curiosa frenesia
se mi sorprende oltre il livello massimo
d’appiattimento della fantasia.

Non puoi – si torna sempre lì capire:
comunque: io non ti voglio lasciare.
Voglio soltanto licenza di tradire.
Lasciarsi non è facile e distruggerti
sarebbe fastidioso; ma ecco il seno
è mio e tuo: se vuoi è il tuo cuscino
su cui piangere la mia indifferenza…”

“Ma sopra, almeno, ci posso morire?”

“Ecco, ci puoi morire in modo quieto:
ti puoi addormentare e non svegliarti.
Io allora sposterò piano il corpo
e tu dolcemente riposerai
e non ci lasceremo, poverino,
per così dire, mai”.

Paolo Maccari (Colle Val d’Elsa, 1975), da Fuoco amico (Passigli, 2009)



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