Fabio Pusterla consiglia “Portovenere” di Philippe Jaccottet
Pubblicato: 1 marzo 2013 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Philippe Jaccottet 7 commentiLa mer est de nouveau obscure. Tu comprends,
c’est la dernière nuit. Mais qui vais-je appelant?
Hors l’écho, je ne parle à personne, à personne.
Où s’écroulent les rocs, la mer est noire, et tonne
dans sa cloche de pluie. Une chauve-souris
cogne aux barreaux de l’air d’un vol comme surpris,
tous ces jours sont perdus, déchirés par ses ailes
noires, la majesté de ces eaux trop fidèles
me lasse froid, puisque je ne parle toujours
ni à toi, ni à rien. Qu’il sombrent, ces “beaux jours”!
Je pars, je continue à vieillir, peu m’importe,
sur qui s’en va la mer saura claquer la porte.
Philippe Jaccottet (Moudon, 1925)
Portovenere
Di nuovo cupo il mare. Tu capisci,
è l’ultima notte. Ma chi chiamo? A nessuno
parlo, all’infuori dell’eco, a nessuno.
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba
in una campana di pioggia. Un pipistrello
urta come stupito sbarre d’aria,
e tutti questi giorni sono persi, lacerati
dalle sue ali nere, a questa gloria
d’acque fedeli resto indifferente,
se ancora non parlo né a te né a niente. Svaniscano
questi “bei giorni”! Parto, invecchio, che importa,
il mare dietro a chi va sbatte la porta.
(traduz. di Fabio Pusterla, in Philippe Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorante, con un saggio di Jean Starobinski, Torino, Einaudi, 1992).
Philippe Jaccottet (1925) è uno dei più importanti poeti europei contemporanei. Lo leggo e lo traduco da moltissimo tempo, eppure ancora oggi quando rileggo la poesia Portovenere provo un brivido; e se devo indicare, tra le molte traduzioni che ho provato a fare e che quasi sempre mi sembrano per un verso o per l’altro insoddisfacenti, un testo che mi sembra venuto bene in italiano, di solito penso a questa poesia. Poesia d’amore e d’abbandono, di dialogo con l’assente, di solitudine e disperazione; poesia, anche, in cui ogni elemento del paesaggio e della lingua è investito di significato, ogni sillaba e ogni molecola riassume in sé e in qualche modo esprime un’affettività intensa e sconsolata, e insieme il peso della vita, del crescere e del continuare un viaggio interiore. Non so quanto tempo ho impiegato a frugare tra le pieghe di questi versi, né quante volte ho riscritto e mutato i miei tentativi di traduzione; non saprei forse neppure ricostruire le varie fasi del lavoro (un po’ come non sempre saprei dire con precisione come ho scritto una poesia mia): però in questo caso mi pare che il risultato finale sia buono. Eppure ogni tanto scopro ancora qualcosa a cui non avevo pensato. L’ultima cosa che ho scoperto sembrerà ovvia; ma io ci ho pensato solo pochi anni fa. Il pipistrello che svolazza in mezzo alla poesia giunge qui da molto lontano; è apparso per la prima volta, credo, in una celebre poesia di Baudelaire, uno degli Spleen contenuti nelle Fleurs du mal. Allora: Baudelaire fa nascere la figura del pipistrello, che vola fino alla Portovenere di Jaccottet, che io provo a tradurre e che mi commuove. Anche così, forse, la poesia e i poeti rimangono vivi, e traversano i secoli.
Fabio Pusterla