Leopardi und die Schnecke / antologia, Michael Krüger

Eine Schnecke kriecht über die Terrasse,
ein schleimiger Bauchfüßer, der Unruhe des Gartens
glücklich entkommen. Zart, biegsam, hornig,
saugt sie den Boden ab, von einem Magnetem
gelenkt unter den Fliesen. Erhobenen Kopfes
kreutz dieses heilige Tier mit verletzender Würde
die Straße der Ameisen, wo Geschäfte blühen
und Lasten getauscht werden, daß der Blick
sich verwirrt. Eine Schwester des Sisyphos,
die in der Ebene arbeitet, eine natürliche Feindin
der Wiederholung.
Die Mitte ist erreicht, so lautlos, als dürfe
das Welthaus nicht erschüttert warden,
das voller unsichtbarer Risse ist.
Jetzt denke nicht an die Zeit, nicht an das Glürk,
den nur als Unglückliche sind wir unsterblich.
Aber wie begreifen, daß die Ordnung
nur mit dieser Schnecke funktioniert, die nun
den weißen Zeiger ihrer Uhr vollendet hat?
Wozu wären wir den wohl geboren, sagt Leopardi,
als um zu erkennen, wie glücklich wir wären,
nicht geboren zu sein?

 

Michael Krüger (Wittgendorf, 1943), da Il coro del mondo. Poesie 2001-2010 (Mondadori, 2010)

 

Leopardi e la lumaca
Una lumaca striscia per la terrazza,
un viscidume che va sul ventre, felicemente
sfuggita all’agitazione del giardino. Tenera,
duttile, cornea, aspira il suolo, diretta da un magnete
sotto i marmetti. A testa alta
questo sacro animale con dignità offensiva
taglia la strada alle formiche ove fervono i traffici
e si scambiano carichi da confonder
la vista. Sorella di Sisifo,
lei lavora in pianura, naturale nemica
della ripetizione.
Il centro è raggiunto, in gran silenzio quasi
non si dovesse dar scosse alla casa del mondo
che è piena di crepe invisibili.
Ora penso al tempo, non alla felicità,
perché soltanto come infelici siamo immortali.
Ma lo capiamo che l’ordine funziona
solo con questa lumaca che ora ha fatto il giro
del quadrante bianco del suo orologio?
A che pro saremmo nati, dice Leopardi,
se non per riconoscere come saremmo felici
a non esser nati?

(Traduzione di Anna Maria Carpi).

Un accostamento proprio insolito fra il nostro grande poeta noto per il suo pessimismo e questo piccolo animale non bello, noto per la sua lentezza, che procede con la propria casa sulle spalle e sembra fare solo il giro di un quadrante d’orologio. Se si deve paragonarlo a un umano, pensiamo al Sisifo greco condannato a riportare in cima a un monte un pietrone che cade giù ogni volta. Fatica inutile, ma così è la vita per i pessimisti. Noi uomini, nella casa del mondo piena di crepe, se pensiamo, come facciamo sempre, alla felcità, capiamo che sarebbe il non essere mai nati. Il punto di svolta in questa poesia è “solo come infelici siamo  immortali”, ovvero nelle parole  “penso”, “capiamo” e “riconoscere” . E’ un modesto elogio della coscienza, l’unico misterioso “in più” che l’uomo ha sulla natura.

Anna Maria Carpi



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