In alto fino al sonno

Sembrerà strano, ma i gradini hanno
la straordinaria capacità di attrarre
il vero – il suo sapore arriva in bocca
sempre a metà scala, la sera
soprattutto, ritornando a casa,
quando salendo viene meno il fiato.
Sì, ma perché la gravità del fiato
dava ai pensieri quel concertato serio
sospeso sopra i margini del vero?

Forse perché, quando si sale, il sangue,
rimasto in basso a soccorrere le gambe,
lascia deserte le coscienziose altezze
delle mente, che anemizzate e lasche
si trasognano, dimenticano
di stare a sentinella di quel sonno
dove di sghembo sta accartocciato il vero,
che ora, distratto, si stende nel risveglio
e si apre tutto in semplice evidenza
– puro sapore la cui semplicità
stupisce, e ferma i passi e fa più grave
il fiato; e il suo corpo intero, imbarazzato
del suo peso, diventa alato sguardo
in cerca di una forma che trattenga
quell’evidenza, fino a ingolfarsi
in una macchia scura sul gradino
trovando in quella il suo unico traguardo.

E così entravo grave ma sospesa
dentro il mio stesso cuore, quella macchia
era la mappa in ombra del mio cuore
che io dovevo leggere e indagare,
che mi chiedeva, pur senza che io capissi,
di restare, che io restassi lì a guardarla,
restassi lì, dentro l’intimità
di quel sapore, dentro quell’ombra, arresa,
finché il mio nuovo fiato
non mi portasse via
su in alto fino al sonno.

Patrizia Cavalli (Todi, 1949), da Datura (Einaudi, 2013)