Umberto Fiori consiglia Franco Loi
Pubblicato: 28 marzo 2014 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Franco Loi, Umberto Fiori 1 CommentoDe Diu sun matt…
De Diu sun matt, se streppa la cusciensa.
Vu ‘n gir, el pensi, me ‘l remèni, e vu…
E püssè ‘l pensi, e pü ghe sun luntan.
Diu l’è schersûs… L’è cume fa la lüna,
ch’i mè penser în nüver, e lü se scund.
Inscì, me tundi via, parli cuj òmm,
e matta l’è la lüna, ciara lünenta,
cun la sua lüs che slisa ne la nott.
Franco Loi (Genova, 1930), da Memoria (Boetti&C., 1991)
Di Dio sono pazzo, si strappa la coscienza.
Vado in giro, lo penso, me lo rimugino, e vado…
E più lo penso, e più gli sono lontano.
Dio è scherzoso… E’ come fa la luna,
che i miei pensieri sono nuvole, e lui si nasconde.
Così, mi distraggo, parlo con gli uomini,
e matta è la luna, chiara luneggiante,
con la sua luce che scivola nella notte.
Alla poesia di Franco Loi –una delle più forti e autentiche dell’ultimo Novecento- molti sono costretti ad accostarsi attraverso la traduzione in lingua messa a disposizione dall’autore. Sereni, Fortini, Giudici –lettori decisivi per il riconoscimento critico del poeta negli Anni ‘70- capivano il milanese come si può capire il tedesco, o il russo. Fortuna ha voluto che il sottoscritto –ligure di nascita, deportato a Milano a cinque anni- abbia respirato questo ostrogoto cordiale e spigoloso fin da piccolo. Loi, io lo leggo direttamente in dialetto, e l’ho persino cantato (grazie alla musica del mio amico Tommaso Leddi). Il testo che ho scelto è uno dei miei preferiti; l’imbarazzo che mi trasmette la sua versione italiana (seppure “d’autore”) è rivelatore. Le svise sintattiche, che nell’originale animano il testo, in italiano risultano goffe e legnose; rimuginare è l’ombra “signorile” di remenâ; l’epiteto luneggiante un penoso ingessamento dell’originale lünenta; il verbo scivola è l’eco insipida dell’etereo slisa. Eccetera. Ascoltata in milanese, questa lirica è la quintessenza della poesia di Loi: una mistica “bassa”, colloquiale e profonda, che rivolta la grande tradizione lirica italiana, infondendole nuova intensità. (Umberto Fiori, marzo 2014)
Vincenzo Frungillo consiglia Biagio Cepollaro
Pubblicato: 27 marzo 2014 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Biagio Cepollaro, Vincenzo Frungillo 1 CommentoIl piccolo e il grande (1923, 1997)
(tra Carlo, il padre e Carlo, il figlio)
il piccolo chiede perché c’è buio e perché
luce
il grande risponde che la terra tutti noi giriamo
e lentamente
girando
viene buio e luce e poi luce e buio
che non scompare che ogni cosa luminosa ritorna
e varia
più cupa più pioggia e anche
allarme
dell’auto taglia notte e tuono
chiede abbraccio
poi infermiere strattonarono il corpo in una deposizione
senza pietà
mento penzolante
sul petto
pigiama
freschissimo
in fretta senza riguardo che proprio a loro
toccava il turno
dell’ora più calda di giugno in fretta a sistemare
il morto
a raccogliere lenzuola e fasce
da bruciare
altrove
non bisognerebbe chiedere alle cose
di parlare tra loro: sono lì
a graffiare per solo attimo il cielo e l’insieme
non dice più
delle linee della mano: foglia erba tronco tromba
d’aria
prima gli disse che poteva chiudere
in pace
il conto
che buono era stato
il passaggio
visto da fuori c’era stato di tutto
per una vita
media degli anni
sessanta
dall’ebete
giovinezza alle bombe
il paese fatto colonia comprato prima con pane
di grano e poi in sviluppo e progressione
con frigorifero ascensore auto
e televisione
la storia è cornice troppo grande
e sfilacciata l’omino neanche si vede
nel paesaggio e poi la cornice non è
che un altro quadro l’unico che c’è
fermo
sulla parete
il resto tutto il resto è apparso e sparso
però
che vuol dire visto
da fuori e media vita
non c’è fuori che tiene ma qualcosa uno
deve pur dire
nell’ultimo commiato: ti sei fatto già piccolo sei già
labile
ricordo
te ne vai
al tuo minimo termine
che un altro
anno
non avrebbe cambiato ma lui diversa
se l’era immaginata
non così oppressa da minuzie la credeva
solenne e per sola volta
immune
non bisognerebbe chiedere alle cose
di arredare le nostre attese e anzi
non bisognerebbe attendersi niente
dalle cose (calcolando le orbite
delle comete quando vaganti
montagne e città e le infinite
interazioni le magnetiche
passioni della terra)
se anche ora volesse leggergliela lei non avrebbe tempo
e riposo non avrebbe aria
libera
è così difficile pane guadagnarsi quotidiano o è un’altra
l’ansia
del tutto pieno
prende contegno il panico una misura e forse
sarà davvero sbucata su di una via
più sua
lui neanche ci prova
ora che tra i due interpone
un grande
vuoto
non bisognerebbe chiedere alle cose
di restare
né puntare ogni porta
che si apre
non bisognerebbe stare dove nulla
è stato
non è monumento: ecco è questa
la vecchia
abitudine della pietra
ad insistere
con pietra e carta, appunto,
si tratta solo di un momento
intanto
si sente uno che è scampato
col suo panino in sorte buona o saggia
ma poi non è importante che sappia
(non arriva mai
diretta
la vicinanza)
solo che è strano: è come essere ai lati
opposti
della terra
ognuno con ciò che chiama
buio
ognuno con ciò che chiama
luce.
1999
Biagio Cepollaro (Napoli, 1959), da Versi nuovi (1998-2001) (Oèdipus edizioni, 2004)
Biagio Cepollaro è tra i pochi autori italiani che riesce a combinare con estrema, apparente, semplicità riflessione filosofica e poesia. Il testo “Il piccolo e il grande” parte dalla visione di un padre morente in un letto d’ospedale, e da quest’episodio tragico, unico nella vita di ogni essere umano, nasce la riflessione sul macrocosmo. Ecco allora che il piccolo e il grande indicano da una parte il rapporto padre-figlio, ma anche il legame tra le leggi che regolano il macrocosmo e il microcosmo, l’esplicazione delle leggi gravitazionale tra i pianeti, il destino dei corpi nella Storia. La poesia diventa riflessione universale sul destino del cosmo (del mondo). Il dettato della poesia, quasi un parlato che si affida più al ritmo del respiro che ad una struttura metrica prestabilita, è affidata a due voci, con la messa in rilievo del controcanto attraverso il corsivo. All’oggettività degli eventi si contrappone la riflessione sottovoce del poeta. Ancora una coppia di opposti che si includono. (Vincenzo Frungillo, 15,02,2014)